Se per la mia generazione JR era il cattivo di Dallas, oggi, fortunatamente, è lo pseudonimo di uno street artist e street photographer (mi scuso per l’inglese, ma la traduzione italiana si presta a fraintendimenti) che vive e lavora a Parigi. L’ultimo dei suoi progetti si intitola Alive e nasce dal desiderio di ricordare le vittime della strada, attraverso i ritratti fotografici dei loro cari sopravvissuti: un progetto ambizioso e faticoso, dal punto di vista organizzativo e soprattutto emotivo, visto che i ritratti sono non semplici istantanee, ma il frutto di una condivisione di memorie, di dolori, di ricerche disperate per trovare un senso a ciò che, drammaticamente, un senso non ce l’ha. Ci sono voluti anni di lavoro, culminati nell’impressionante allestimento di sabato 13 settembre, quando sul ponte Jena, all’ombra della Torre Eiffel, è apparso un lungo “tappeto”, con 1300 fotografie che, in bianco e nero, ritraevano i volti dei papà , delle mamme, dei fratelli e delle sorelle delle vittime, in un dialogo commovente fra chi resta e chi non c’è più.
A farsi carico di ben 900 di questi ritratti è stata Maria Greco Naccarato, una fotografa di rara bravura, il cui curriculum vanta collaborazioni altisonanti ma che, in questo momento, cede di fronte alla sua sensibilità , al suo coraggio e al suo grande cuore: da amica, ho vissuto il dietro le quinte di questo progetto, i suoi viaggi per mezza Europa, la sua tenacia, la sua forza interiore che non le ha consentito di vacillare, neppure per un momento e le ha permesso, oggi, di raccontare attraverso la sua arte che anche le ferite più profonde, più dolorose e più ingiuste riescono a trovare il loro punto di sutura, pur senza smettere di fare male.
In un mondo in cui l’arte contemporanea sembra essersi votata alla provocazione, all’espressione della rabbia, alla slatentizzazione della violenza, Maria ci testimonia con le sue foto che un’altra strada è possibile: e ce lo racconterà giovedì sera, in un appuntamento extra calendario, davvero eccezionale.